Sulla Confessione

San Paolo, nella Lettera ai Romani, … ammette pubblicamente davanti alla comunità che nella “sua carne non abita il bene”. Afferma di essere uno “schiavo” che non fa il bene che vuole, ma compie il male che non vuole. Questo accade nella vita di fede, per cui “quando voglio fare il bene, il male è accanto a me”: “E questa è la lotta dei cristiani. E’ la nostra lotta di tutti i giorni. E noi non sempre abbiamo il coraggio di parlare come parla Paolo su questa lotta. Sempre cerchiamo una via di giustificazione. …

Perché se l’essere peccatore è una parola, un modo di dire, una maniera di dire, non abbiamo bisogno del perdono di Dio. Ma se è una realtà, che ci fa schiavi, abbiamo bisogno di questa liberazione interiore del Signore, di quella forza. Ma più importante qui è che per trovare la via d’uscita, Paolo confessa alla comunità il suo peccato, la sua tendenza al peccato. Non la nasconde”. La confessione dei peccati fatta con umiltà è ciò “che la Chiesa chiede a tutti noi” …“Alcuni dicono: ‘Ah, io mi confesso con Dio’. Ma è facile, è come confessarti per e-mail, no? Dio è là lontano, io dico le cose e non c’è un faccia a faccia, non c’è un quattrocchi. Paolo confessa la sua debolezza ai fratelli faccia a faccia. …. ‘Sono peccatore per questo, per questo e per questo’”. Concretezza, onestà e anche una sincera capacità di vergognarsi dei propri sbagli: … Vergognarsi davanti a Dio è una grazia. E’ una grazia: ‘Io mi vergogno. Pensiamo a Pietro quando, dopo il miracolo di Gesù nel lago: ‘Ma, Signore, allontanati da me, io sono peccatore’. Si vergognava del suo peccato davanti alla santità di Gesù Cristo”. (dall’Omelia del 25 /10)

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